Nell’altare di N.S. di Monserrato ad Ozieri: lo stemma gentilizio dei nobili Satta,
il retablo di Giacomo Camilla e le architetture degli scalpellini
Antonio Pinna e Giovannangelo Tinu artigiani ozieresi
di Gian Gabriele Cau
In chiusura di un articolo sui due inediti di Baccio Gorini, pubblicato di recente sulle pagine di del settimanale diocesano Voce del Logudoro del 18 marzo 2007, si è posto in evidenza un cartiglio nella tela della Vergine con Bambino tra S. Sebastiano e S. Francesco d’Assisi (1730), della chiesa dei SS. Cosma e Damiano recante i nomi di don Ivan Maria Satta Sini e donna Maria Angela Delitala. Sulla sinistra, nella parte bassa dello stesso, si rileva oggi uno stemma nobiliare, quello della stessa famiglia committente dei Satta, della cui devozione religiosa si sa per un gran numero di altari eretti per loro volontà in molte chiese di Ozieri.
Nell’arma è raffigurato un giovane a cavallo, recante nella destra uno stendardo e nella sinistra una balestra. Lo scudo è sormontato da un elmo con pennacchi, ed è una libera interpretazione di quello adottato dalle più antiche famiglie nobili Satta della Gallura e di Cagliari, riconosciuto per la prima volta al cagliaritano Dionisio Satta il 17 gennaio 1640 (cf. F. Floris, S. Serra, Storia della nobiltà in Sardegna, Cagliari 1986, pp. 320-321).
Lo stesso emblema con poche varianti è scolpito alla base dell’altare di N. S. di Monserrato, per il quale – ed è questo un autentico elemento di novità – è possibile con certezza riconoscere nella famiglia dei nobili Satta la committente di quell’altare-retablo. Nello stemma si distingue un cavaliere a dorso di un cervo, tenente con la destra le corna dell’animale e con la sinistra un dardo, sotto un sole raggiante. Un chiaro rimando all’etimologia del cognome si cogliere nel filo della lama della stessa freccia (“s’atta” in lingua sarda). Per quanto antico e diretto sia il legame tra questo altare e la nobile famiglia ozierese, sembrerebbe, invece, da escludere il coinvolgimento della stessa dal numero dei patrocinanti e benefattori di quel tempio.
In tempi più recenti i Satta di Ozieri si distinsero con un’altra arma, riconosciuta a Filippo Satta Grixoni e a Giuseppe Satta Gaya, di Pattada il 28 aprile 1775, caratterizzata da due gatti (“s’attu” per “Satta”) grigi, controrampanti, riscontrabile, ancor oggi, sul sarcofago nella tomba gentilizia dei “Germani Satta”, opera del valente Giuseppe Sartorio, e in una magnificente decorazione del soffitto di una vano dell’abitazione Costi-Satta, nel rione “Sa Ena”.
Secondo una tradizione popolare la chiesa della Vergine di Monserrato sarebbe stata eretta per volontà di don Leonardo Tola, al fine di sciogliere un voto per il suo rientro ad Ozieri dalla battaglia di Granada (1492), dove aveva combattuto per la liberazione della Spagna dai saraceni. In realtà Leonardo avrebbe lasciato parte dei suoi beni per “la nuova opera di S. Maria” (oggi cattedrale) e per altre non definite chiese del territorio. Al di là di quanto si creda, e di quanto è possibile dedurre da un testamento non più disponibile ma parzialmente noto solo da fonte bibliografica, per certo la prima menzione documentale della chiesa è nel Liberu Octavu nel 1593, nel quale si fa riferimento ad un toponimo “giamadu sa pastia sutta nostra Senora de Monserradu” (cf. S. Becciu, tesi di laurea, Univ. SS., 1999-2000).
Un generico patronato in favore della stessa chiesa, certamente già esistente all’epoca della sua dipartita nel 1606, sarebbe da attribuirsi a Matteo Restarone, amico del pittore Andrea Sanna detto il Maestro di Ozieri, del quale si conserva l’epitaffio nella parete sinistra dell’aula.
Se, dunque, il nome del reale committente è, allo stato degli studi, avvolto da una coltre di mistero, è, invece, noto – lo si afferma qui per la prima volta – i nomi delle maestranze che operarono in quella fabbrica. Nella gemma pendula della volta a crociera nervata della cappella di N.S. di Monserrato è scolpito il monogramma cristologico “IHS”, coronato dai nomi Ioanan[guelu (?)] Antoni ma[st]ros. La coesistenza e la coincidenza dei due nominativi in uno stesso contesto invita a prendere in considerazione l’identificazione dei due scalpellini negli ozieresi Giuannanghelu Tinu e Antoni Pinna Matoleddu, che sottoscrissero l’atto di fondazione della Gremio degli artigiani nel 1636 [Amadu, 1992], uno dei quali, Antonio Pinna, già noto per la costruzione di uno dei migliori esempi del plateresco in Sardegna, la chiesa di San Sebastiano di Sorradile (1636-1642) e, ancor prima, la chiesa di S. Maria di Ossolo presso Bidonì (ante 1632).
Nel 1942 il canonico Giovanni Demelas trascrisse, pur travisandone il senso, una “lapide marmorea”, murata nel presbiterio e oggi scomparsa: Propriis bonis fecerunt fieri Mazacaus et Leonora Tola coniuges. Duxit Roma doctor Quiricus Sanna vicariu perpetuus Ocieren; eodem anno 1614, verosimilmente, si ha ragione di credere, in riferimento al simulacro della Vergine. Nel ricordo dei più anziani, infatti, la statua non era inserita in un retablo ligneo, quanto in una nicchia appena ornata di poche decorazioni, dipinte sulla parete.
L’altare, secondo una antica testimonianza orale raccolta da mons. Alessandro Peralta, sarebbe derivato dalla chiesa di San Francesco a seguito della soppressione dell’ordine monastico dei minori osservanti. In un primo momento taluni decori, specificamente gli angeli che incoronano la Vergine, furono allocato sulla bussola d’ingresso. Solo successivamente fu composto un posticcio altarino fatto restaurare negli anni Novanta dalla soprintendente Marilena Dander. Nell’opera di assemblaggio sono confluite, in un comunque gradevole pastiche, anche due colonne di recupero derivanti da un altro retablo extraisolano.
L’ipotesi di una provenienza dell’altare in esame dalla chiesa francescana troverebbe, in taluni documenti, oggettivi elementi di sostenibilità. Il 7 giugno 1758 don Michele Satta, per una somma di 65 scudi, commissionò all’eccelso scultore, ozierese Giacomo Camilla un altare per la cappella della Vergine, da consegnare alla scadenza dei sette mesi e da collocare presso la chiesa di S. Francesco, dove il Camilla (cui varrebbe il merito dell’intitolazione di una via) aveva già realizzato l’attuale altare maggiore. Quest’opera – nella quale si riconoscerebbe parte del retablo ligneo ricomposto nella chiesa di N.S. di Monserrato – prevedeva la statua della Madonna inserita tra colonne tortili con decorazioni floreali e una scena della Pentecoste in cima [L. Agus, 2004], verosimilmente quella Pentecoste oggi nel frontale dell'altare della stessa chiesa, già riutilizzata nel Novecento, con altri elementi dispersi, in un pulpito. Nell’inventario redatto nel 1867 dei beni pertinenti la chiesa dell’ente soppresso si registrano taluni argenti, afferenti la statua della Vergine di Valverde e della Madonna dei Martiri, in una delle quali si ha ragione di ravvisare l’originario titolo della cappella dei Satta in S. Francesco.
La nobile famiglia è documentata ad Ozieri sin dal xvii secolo; nel 1643 un Francesco Satta del Mestre fu ammesso allo stamento militare, mentre la nobiltà sarebbe stata ufficialmente riconosciuta nel 1741 allo stesso Giovanni (Ivan) Maria Satta, committente del quadro della chiesa dei SS. Cosma e Damiano nel 1730. Tra le numerose testimonianze di devozione religiosa dei Satta in molte altre chiese cittadine si ricorda che nel 1685 i coniugi Filippo Satta Pira e Speranza Spano intitolarono a loro spese una capella alla Madonna di Itria (“Nostra Signora de su Bonu Caminu”) nella chiesa di N.S. del Rosario.
Ma la più ampia testimonianza del sentimento religioso familiare è quella resa da Andrea, fratello di Michele, con la doppia commissione dei due grandi altari del transetto della cattedrale. Il 15 agosto 1761 il nobiluomo dispose 350 scudi e diede incarico allo stesso Giacomo Camilla per la costruzione di un altare-retablo (oggi rifatto) intitolato all’apostolo Andrea, suo omonimo. Nel 1767 (un cartiglio ne mantiene ancora viva la memoria) lo stesso Andrea commissiona un controaltare per il Santissimo Sacramento nel quali si ravvisano, in buona parte le forme originali, nonostante la ristrutturazione del 1839 ad opera del pittore Pietro Bossi e taluni rimaneggiamenti, operati nel 1868.
Ancora Andrea Satta fu il più importante committente dei lavori di rifacimento della parrocchiale della Vergine Assunta a Nulvi, dove il nobile era sposato con Margherita Delitala, forse parente di quella Maria Angela Tedde Delitala, che nel 1730 aveva voluto arredare l’altare della chiesa dei SS. Cosma e Damiano. Fortemente legato all’attuale cattedrale, indicò nell’altare maggiore di questa il modello per quello marmoreo della capilla mayor della parrocchiale del centro dell’Anglona. A Nulvi è ancora vivo il ricordo del nobiluomo e se ne conserva un ritratto dell’epoca. Le sue spoglie e quelle della moglie sono interrate nell’altare maggiore del convento di S. Bonaventura del paese adottivo.
L'articolo è stato pubblicato in: Gian Gabriele Cau, Raffigurato nella predella dell’altare. Lo stemma gentilizio dei Satta nella chiesa di Monserrato a Ozieri, in “Voce del Logudoro”, Ozieri 3 giugno 2007, pp. 1, 3.