Premio OzieriPremio Ozieri di Letteratura Sarda 

di Piero Modde

Oltre che per lo storico, il colle di Monte Acuto offre spunti di notevole interesse anche per l'archeologo che, proseguendo le indagini con assiduità e costanza, potrà svelare le fasi della storia millenaria del fortilizio, dal periodo nuragico al suo declino.

La recente scoperta di un dolmen, di numerosissimi tafoni e ripari sotto roccia, il rinvenimento per tutto il colle di oggetti d'uso, di frammenti di ossidiana, di cocci di ceramica variamente lavorata, di una matrice di fusione per metalli e di un bracciale probabilmente di epoca nuragica, riportano ad una arco cronologico esteso dagli insediamenti più antichi, preistorici, ad altri più recenti, di epoca storica, antica o medioevale.

E' certo che anche i Romani vi abbiano eretto un castrum con funzioni peculiarmente strategiche. Un castrum ubicato sul Monte Acuto consentiva la sicurezza della viabilità ed allo stesso tempo di tenere in streta e continua soggezione la fiera e bellicosa popolazione dei Balari che dal Nord minacciavano gli interessi economici di Roma.

Verso la seconda metà del secolo XI per i giudici di Torres si presentò la necessità di predisporre una accurata organizzazione territoriale, edificando o ripristinando torri e castelli per difendersi dai nemici esterni, nel caso specifico dai sovrani di Gallura, le cui mire espansionistiche mettevano in pericolo da oriente e da settentrione le fertili vallate logudoresi.

  E la scelta del Monte Acuto per una postazione permanente, punto chiave di tutto un sistema difensivo, non fu certo casuale: riprendendo l'antica fortificazione ed erigendovi il castello il giudice aveva la doppia garanzia di una più facile difendibilità e di un più vasto controllo del territorio.

  Dai pochi resti a disposizione si intuisce che dal punto di vista architettonico la fortezza non presentava le peculiarità stilistiche e funzionali delle costruzioni coeve di altre regioni italiane. La tecnica costruttiva sapeva di una certa approssimazione; i materiali usati erano solitament quelli disponibili "in loco", grezzamente lavorati o sgrossati, amalgamati con calcina; solo per elementi di particolare rilievo architettonico si poteva far ricorso ad apporti esterni, reperiti sempre però entro un raggio territoriale non eccessivamente vasto.

  Il materiale più usato è il granito, ma è presente anche la trachite assieme al tufo. Al momento attuale delle ricerche non è possibile stabilire quali furono i modelli che ispirarono la costruzione e quali le maestranze che realizzarono l'opera; si può supporre che tali modelli furono quelli della tecnologia italo-franca contemporanea, che successivamente si affinarono con altri fattori provenienti dall'arte pisana e ligure.

  Oggi, in mezzo alla folta vegetazione ed ai ruderi s'intravedono qua e là tracce di queste mura. Solo recentemente è stato avviato un lavoro di censimento delle emergenze archeologiche della regione del Monte Acuto, che, per la sua specificità, è stato inserito tra gli itinerari scientifici, didattici, e turistici per la fruizione delle testimonianze archeologiche del territorio. E proprio questo itinerario cercheremo di seguire, evidenziando tutto ciò che può interessare l'appassionato ed il ricercatore dal punto di vista storico, archeologico architettonico.

 

Chi volesse raggiungere il castello di Monte Acuto, partendo dalla piazza de popolo di Berchidda deve seguire la via Pietro Casu e la strada rotabile che conduce al Ponte Diana fino al bivio tra "Binza Coscuri" ed il colle "Contra Polcalzos" che si trova dopo aver percorso circa tre chilometri. Qui si imbocca la strada di sinistra e dopo 1200 metri nella discesa di "Fioridas" si nota sulla destra una carrareccia incassata tra muri a seco che si dirige verso il castello.

  In alternativa si può seguire un altro itinerario. Partendo dal rifornitore della esso, all'ingresso di Berchidda si lascia prima sulla sinistra lo stabilimento della "Coop. Giogantinu" poi sulla destra quello della "Coop. Berchiddese", si procede per circa un chilometro per la strada di S. Marco e, prima di "Su Dezzi", si va sulla destra fino a raggiungere la strada per il Ponte Diana, vicino a "Binza Cuscuri".

  A non più di 400 metri a sud dell'imboccatura della "Strada vicinale per Su Casteddu" si scorgono le rovine di un nuraghe ormai quasi completamente distrutto, ricordato anche dall'Angius. Si percorre per circa mezzo chilometro questa carrareccia incassata tra muri a secco fino ad un cancello di ferro in prossimità di "Su Jogu 'e sas imbrestias"; quindi si lascia sulla destra un abbeveratoio - che ha sostituito una vecchia fontana - e sulla sinistra una casetta di recente costruzione; dopo 120 metri circa ci si imbatte in un grosso masso di granito posto a ridosso del muro di cinta e rotolato nel sito attuale nel corso di lavori di bonifica e di spietramento del terreno.

  Questo macigno, da qualcuno conosciuto come "Sa pedra iscritta", presenta delle strane incisioni, tracciate con linee profonde e decise. Il fatto che nessun fenomeno analogo sia riscontrabile tra gli innumerevoli blocchi granitici della zona, indurrebbe scartare come causa determinante di questi graffiti l'erosione meteoricaeda a presupporre la partecipazione attiva della mano dell'uomo. Agli stenogrammi a reticolato, di incerto significato, si potrebbe attribuire un carattere sacrale, dato il ritrovamento di un manico di anforetta votiva inglobato nel terriccio aderente alla pietra. A pochi passi da "Sa pedra iscritta" oltre il muro a secco ed a nord di un moderno abbeveratoio, rimane la struttura di un antico pozzo, ora ricoperto di rovi e di detritti, nelle cui adiacenze sono stati rinvenuti dei frammenti di vasellame di un certo interesse.

  Seguendo l'attuale pista per un centinaio di metri, a destra della quota topografica 355, si trova un tipico "Impedradu", un'aia che serviva alla raccolta dei cereali e dei legumi. A circa 150 metri dall'aia, in direzione ovest, dove il terreno arbile cede il posto alle scoscese balze granitiche all'interno di un'ampia cavità naturale sgorga una sorgente chiamata "S'abba 'e sa conca", le cui acque venivano trattenute da un piccolo sbarramento ricavato artificialmente tra i massi.Più a valle abbondano le sorgenti e l'acqua viene convogliata in capienti vasche ed abbeveratoi, necessari per l'attività agropastorale.

  Proseguendo per la pista aperta solo di recente con mezzi meccanici, dopo una curva a gomito a sinistra, si giunge all'inizio di una spaziosa radura con grandi alberi di ulivo e di oleastro. Durante questo tragitto, tra i ciottoli e il terriccio, sono stati trovati numerosi frammenti fittili di ossidiana, di selce. Ma il reperto più interessante è senz'altro un piccolo bracciale di metallo risalente probabilmente all'epoca nuragica. E' rivestito di una patina verde liscia ed uniforme, alquanto deteriorata nella parte esteriore, in cui 23 linee ondulate simmetriche si susseguono quasi a formare gli anelli di una catena.

  A nord della radura svetta "Su nodu de tribides" (quota 400 circa) vera roccaforte naturale; ricca di anfratti, di cavità e di ripari sotto i graniti levigati e scavati dall'azione erosiva del vento e della pioggia, dall'alto dei diruppi sovrasta e controlla le aree sottostanti. Caratteristica è l'enorme "Conca de tribides" in posizione dominante e di difficile accesso, sia per le accidentalità naturali sia per un complesso di opere fortificatorie non definito nei particolari a causa della rovina. Dove la natura non ha provveduto sufficientemente per la difesa del luogo è intervenuta l'opera dell'uomo ad ostruire con enormi pietre eventuali punti deboli attraverso i quali si poteva raggiungere il cuore della roccaforte.

  Un grosso muro megalitico cingeva al nord, fin sotto le scoscese pareti del Monte Acuto, tutto il ciglione che sovrasta l'ampia vallata di "Fulcadas" e di "S'utturu 'e concas". Stiamo considerando quelle che possiamo definire come prime cinte murarie della fortezza.

  Sulla sinistra della radura (quota 375) si apre una serie di "tafoni" e di "conche" (una costante per tutto il colle), quasi tutti con uno spiazzo antistante, in cui la presenza dell'uomo è testimoniata da resti di vario genere, poveri, rozzi e semplici: pstelli mortai ciottoli arrotondati e lisci, piedini di tripode, cocci di vasellame, fusaiole. Alcuni di questi ripari conservano tracce che ci fanno intuire una funzione abitativa; altri un uso funerario.

  A brevissima distanza (quota 400) si erge una roccia bizzarramente modellata dagli agenti atmosferici: presenta al centro un'apertura che poteva costituire un ottimo posto di osservazione a scopo di vigilanza, proprio vicino alla prima cinta muraria. Un lastrone di granito, ora appoggiato in posizione quasi verticale, probabilmente fungeva da passerella per raggiungere agevolmente la feritoia naturale. Questa postazione era detta dai vecchi del luogo "S'acheradolza", con evidente riferimento alla forma di una grande finestra alla quale ci si poteva affacciare per controllare dall'alto gli spazi sottostanti.

  Nelle immediate vicinanze si trova una grande struttura domenica, appena scoperta. Esposta a sud-ovest presenta una pianta rettangolare costituita da tre lastroni ortostatici coperti da un'unica grande pietra, ora spezzata in due.

  Riprendendo il sentiero ai margini della radura per una cinquantina di passi si arriva ad un pianoro dove pare si aprisse un ingresso ad un altro tratto della prima cinta muraria già vista prima. Al centro di erge un menhir aniconico delle dimensioni di due per due metri circa, a testimonianza della primitiva funzione funeraria e religiosa di tutta la struttura.

  Tutto intorno grandi cumuli di materiale lapideo rivelano i resti di un crollo e sono ancora evidenti le basi della muraglia, che si adattava perfettamente all'andamento accidentato del suolo. Sulla destra, sopra una roccia piatta, restano ancora per alcuni i metri le prime file di pietre con argilla su cui poggiava l'opera di difesa. Si tratta delle fondamenta di una torretta di avvistamento, a base circolare del diametro di circa 4 m.

  Le tracce del muro si perdono in direzione nord-ovest, è probabile che esse non furono mai edificate in un settore dove sono presenti grandi rocce che conferiscono al terreno una conformazione tale da rendere inaccessibile il passaggio. Oltre queste rocce, in direzione nord, sono stati ripuliti recentemente i resti di una torretta megalitica dalla quale parte il superstite tratto di muro (circa 20 metri), che bloccava l'accesso alla prima cinta di difesa dalla vallata esposta a settentrione.

  All'altra estremità del muro, un'altra torretta della quale sopravvivono solo le pietre di fondamento disposte anche in questo terzo caso in forma circolare. Fra i reperti rinvenuti presso le macerie pare interessante una fusarola in terracotta, ancora intera, di fattura diversa da altre delle quali sono stati trovati dei frammenti nello stesso sito. Evidentemente vi si svolgeva una qualche attività di artigianato. In direzione sud si innalza una parete granitica che delimita una radura in leggero declivio. Addentrandosi nelle rocce, nel punto in cui si presenta un abbassamento di livello della parte naturale, si scorgono le basi di un muro che era stato eretto con spezzame litico e argilla per chiudere un varco cui si poteva accedere passando vicino al "dolmen" e a "S'acheradolza"; se ne riconosce lo svolgimento per circa 8 metri di lunghezza con una larghezza approssimativa di un metro.

  La muraglia seguiva l'andamento degli spuntoni granitici quota (405) e fletteva verso ovest, dove andava a chiudere un passaggio di circa 10 metri tra le rocce a picco. Ancora più sotto ogni via di accesso era preclusa dalla natura scoscesa del terreno. Secondo la testimonianza di un vecchio allevatore questo particolare sito era individuato col toponimo di "Sa posta 'e sos caddhos". E la configurazione del luogo rende accettabile l'ipotesi che qui trovassero asilo le bestie da soma e da tiro prima che i visitatori affrontassero a piedi il sentiero in direzione di Punta Minore.

  Verso ovest, inoltrandosi fra la vegetazione e gli sterpi, si giunge ad una piccola radura ai margini della quale si nota la continuazione della cinta muraria, ora crollata quasi per intero. Parte del materiale è stato riutilizzato per innalzare dei muretti e per rendere libero il passaggio fin sotto alla "Punta Minore". Anche qui sono numerose le cavità naturali e i ripari sotto roccia.

  Proseguendo per il sentiero si fiancheggia una struttura muraria megalitica, eretta con blocchi di pietra giustapposti, per una lunghezza di circa 7 metri nel primo tratto e con un'altezza accertata di 4 metri nel punto più elevato. Siamo di fronte alla seconda cinta delle mura, la cui parte più orientale poggiava su un tafone, al di sotto del quale se ne trova un altro di maggiori dimensioni. Continuando verso ovest, tra i macchioni di lentisco e gli olivastri, fino ad un dirupo, la muraglia lascia libero un passaggio verso il castello. Superato questo varco si vedono due ampi spazi terrapienati contigui poggianti sulla struttura muraria.

  Verso est, i copiosi resti di tegole, mattoni, pietre amalgamate con malta cementizia inducono a pensare ad un'opera in muratura di una certa importanza; forse una torretta. Attraverso un gruppo di tre cavità naturali intercomunicanti si esce all'aperto, a breve distanza dal precipizio sul quale domina la cisterna. Tra i frammenti reperiti in queste cavità sono da ricordare pezzi di una ciotola scura con rozze incisioni sul manico, cocci di ceramica decorata, un reperto di terracotta col disegno di una spirale.

  Tra i ruderi sparsi per l'erto pendio, in mezzo alla boscaglia, è stata scoperta una matrice di fusione per metalli di pietra verde (clorite) pressoché intera, sul recto presenta il disegno di tre pugnali, sul verso due asce piatte, sul dorso una scanalatura profonda probabilmente stampo di scalpello o manico metallico di utensile.

  Non è improbabile data la presenza della matrice, che nel territorio si svolgesse anche una certa attività metallurgica, seppure limitata, destinata alla costruzione di armi e utensili; questa ipotesi è ancor più valida se consideriamo che tutt'intorno sono stati rinvenuti numerosi residui di fusione.Ad ovest pare che il terrapieno sia stato utilizzato come piazzola ("kea") per fare il carbone. Qui, subito, il sentiero si inerpica e si insinua tra i graniti e, fra cumuli di macerie conduce all'ultima cinta muraria, quella che circoscriveva gli ambienti del castello, girando, secondo la conformazione del terreno, intorno alla sommità della collina.

  Chi ha visitato il castello tanti anni fa ricorda l'esistenza di numerosi gradini che facilitavano l'ascesa. Di questi oggi non si scorge traccia.
Dove la struttura muraria comincia ad essere tecnicamente più curata, deviando a sinistra si trova un ingresso formato da due massicci blocchi di granito sormontati da un altro, di eguale grandezza. Attraverso l'apertura, si può accedere ad una spaziosa superficie di forma rotondeggiante, protetta da picchi rocciosi e da un grosso muro del quale si distinguono i basamenti. Tutta l'area è ingombra di cumuli informi di ruderi per cui non è possibile discernere quale fosse la destinazione d'uso della struttura. Sulla destra pare esistesse un passaggio per le parti più alte della fortezza. Si tratterebbe di un posto di guardia, ultimo baluardo del castello. Anche i vecchi conoscitori del luogo, infatti, lo ricordano come "Su corpus de guardia".

  Inerpicandosi tra le rocce e le frasche, all'altezza di "Su corpus de guardia" si riesce a malapena a passare sul lato che guarda a nord-ovest dove la rupe strapiomba ripida sovrastata dalle poderose mura diroccate nelle quali, a tratti, si può seguire lo svolgimento irregolare imposto dalla natura stessa del terreno.

  Dopo "Su corpus de guardia" il sentiero si fa più angusto e ripido, incassato tra i picchi rocciosi da ambo le parti; probabilmente era racchiuso entro la cinta muraria, di cui si nota qualche breve tatto crollato sulla destra del sentiero stesso, in direzione est.
Ancora non è stato possibile individuare la collocazione dell'ingresso alla parte interna della fortezza; è fuori dubbio, però, considerate le asperità del suolo, che esso si trovasse nel punto più basso del castello.

  Dove le tracce della costruzione diventano più evidenti e certe è stato possibile realizzare la rivelazione planimetrica, attendibile per quanto consente lo stato del rudere e il terreno accidentato è ricoperto di vegetazione.

  L'asse principale della costruzione seguiva la direttrice da sud-ovest a nord-est, per una lunghezza accertabile di circa 40 metri; La larghezza media del corpo del castello si aggirava sui 15 metri. Molte difficoltà si incontrano nel tentativo di ricostruire anche approssimativamente, la planimetria del settore sud-ovest; questa è sicuramente la parte più acclive, e qui doveva essere ubicato l'ingresso, poiché tutti gli altri punti poggiavano direttamente sulla scarpata ed erano inaccessibili.Procedendo in senso orario dallo strapiombo che guarda ad ovest, su un picco roccioso sono visibilissimi i robusto basamenti delle mura; questi sono interrotti per un breve tratto dal vuoto sottostante e riprendono per qualche metro, andando a legare con una roccia affiancata da un altro sperone più esterno. L'unione tra i due massi era garantita da un muro di riempimento che tendeva da allargare verso nord-ovest il perimetro della fortezza; questo muro ha una larghezza di m 1,50 ed un'altezza di m 3 circa.

  Ancora più in alto, un picco granitico oblungo era incorporato nel muro, ormai dirutto nella scarpata sottostante per una decina di metri. Tutta la cortina era saldata sulla parete rocciosa, come si può rilevare dalla sezione in conci e calcina ancora visibile, e doveva avere uno spessore notevole, oggi non quantificabile esattamente per l'inaccessibilità e la pericolosità del luogo. Non è improbabile che qui esistesse un collegamento con il consistente ammasso roccioso che si erge a qualche metro di distanza per costituire un posto di vedetta dominante tutta la vallata, da "Falcadas" a "S'utturu 'e concas". Infatti pare di intravedere traccia di un muro che univa il tutto con questo corpo laterale, sotto il quale si apre una grande caverna. Poi la struttura muraria piegava verso est ed andava ad inglobare l'ammasso granitico più elevato del colle per raggiunger, correndo in direzione sud-ovest lo sperone sul quale si innalza la cisterna. Questa costituisce l'aspetto architettonico più evidente e meglio conservato e rompe la linearità della cinta muraria, la quale prosegue a sud-ovest, oltre la cisterna stessa, per circa 15 metri fino a poggiare su un enorme masso di forma arrotondata che strapiomba verso il basso. In questo tratto la larghezza del muro è ragguardevole e non è da escludere che vi corresse un camminamento di ronda per garantire un'assidua sorveglianza sull'unico lato della rocca esposto ad un eventuale attacco nemico.

  Su un picco emergente a circa 7 metri ad ovest tra la vegetazione si notano ancora i basamenti del muro. Proprio sotto questa roccia si trova una piccola caverna; picchiando sul suo pavimento, ricoperto di terriccio, si avverte u suono vuoto, segno che ci si trova di fronte da un crollo che può nascondere restio interessanti o, addirittura, un ambiente sottostante.

  A questo punto non è chiaro quale fosse l'andamento della costruzione; la natura accidentata del terreno, unitamente al pessimo stato di sopravvivenza delle strutture, non consente un'indagine accurata e completa. Ma i cumuli di macerie che si scorgono nella scarpata e sugli speroni di granito inducono a credere che il muro continuasse verso il basso tra le balze rocciose fin presso a "Su corpus de guardia".

  Al centro del castello, lungo l'asse maggiore, ci sono numerosi conci saldamente ancorati alla roccia con calcina; potrebbero essere resti di pareti che delimitavano i vari ambienti interni. I muri perimetrali di uno di questi ambienti, di forma squadrata, affiorano accanto alla parete della cisterna esposta a nord-ovest.

  La parte del castello che si presta ad un esame più accurato è la cisterna non interrata. Sono ancora intatti i muri longitudinali, con una line direttrice da sud-ovest a nord-est; su di essi è evidente l'imposta della doppi imposta a botte crollata all'interno dell'edificio. La tecnica costruttiva è molto curata: i conci squadrati sono saldati con la calce e l'interno è rivestito con una malta assai resistente e tenace che ricorda la pozzolana; anche le pareti esterne sono intonacate.

Il muro che sta più a nord ha una lunghezza interna di metri 6,20, mentre l'altro misura m 5,10; la larghezza media della cisterna è di metri 4,70; non è possibile a causa dei detriti della vegetazione che occupano l'ambiente rilevarne l'altezza interna, che esternamente è di m 3,60.

  Un altro muro dello spessore di 60 cm correva al centro lungo l'asse longitudinale; costituiva l'elemento verticale di sostegno della doppia volta e divideva il locale in due parti. Un tramezzo di 30 cm, forse ricavato in tempi successivi, divideva ulteriormente la sezione di nord-ovest in due porzioni lunghe rispettivamente 2,60 e 3,30 metri. E' probabile che si potesse accedere alla varie parti della cisterna attraverso aperture praticate nei tramezzi. Infatti, qualche anziano che ricorda questa struttura intatta parla di sotterranei ai quali si accedeva da una botola esistente nella volta. Le risorse idriche erano assicurate dall'acqua piovana che giungeva al serbatoio attraverso alcune condutture di tegole contrapposte, inglobate nei muri, ancora in buono stato di conservazione.

  Un muro più esterno, fatto di conci alquanto irregolari e rozzamente squadrati legati con la calce, cingeva i due lati della cisterna rivolti a nord-est e a sud-est e probabilmente costituiva, assieme alla cisterna stessa l'appoggio per la torre di cu parlano alcuni scrittori. I pochi resti dell'intera costruzione non consentono neanche di ipotizzare una suddivisione interna degli ambienti. Anche se il castello ospitava una piccola guarnigione, accanto alla cisterna dobbiamo presumere l'esistenza di alloggiamenti, di depositi per masserizie, vettovaglia ed armi, di una torre, di una cucina e di un forno, di scale per superare il considerevole dislivello tra "Su corpus de guardia" e il serbatoio dell'acqua. Anche le cavità naturali potevano essere adattate e sfruttate per le necessità più disparate della collettività dei residenti.

  La differenza di quota tra il primo tratto di mura osservato nella prima parte di nord-ovest ed il punto geodetico a quota 493 è di circa 16m. Considerando che lo strapiombo verso "su corpus de guardia" accresce tale differenza duna ventina di metri, è ipotizzabile per tutto il complesso fortificato una strutturazione a gradoni, con una distribuzione dei locali interni a diverse quote altimetriche.

  E' indiscutibile che la struttura nel suo insieme dovesse offrire un minimo di "comfort", se è vero che vi si recarono i personaggi più rappresentativi della storia sarda della prima metà del secolo XIII, da Adelasia a Pietro d'Arborea all'Arcivescovo di Sassari al Legato Pontificio Alessandro ai Vescovi di Ampurias e di Castro, tutti con il loro seguito. D'altra parte il documento notarile già citato precedentemente parla di una aula cuiusdam palacii. La stessa mulattiera che raggiungeva la fortezza doveva essere più agevole del sentiero attuale che a tratti, specie nella parte più alta è difficile persino individuare.

 

Tratto da Piero Modde, Quattro passi tra la storia. Berchidda il Castello di Monte Acuto come arrivarci, cosa c'è da vedere, in Almanacco Gallurese 1997-98.

 

 

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