di Franco Laner e Gianfranco Saturno

 

L'Olivastro di Meleu
Fra gli alberi più longevi della Sardegna c'è sicuramente l'olivastro (Olea europaea, var. sylvestris).Questa specie è tipicamente mediterranea e molti studiosi la ritengono indigena proprio della Sardegna. Nell'Isola vive fino a 600 m sul livello del mare ed anche più se in zone riparate ed è molto longevo, ha un'eccezionale capacità di riprendersi, anche se la ceppaia è stata attaccata dal fuoco o dal gelo.

I suoi frutti sono piccoli ed ovoidali, di color prima verde e poi nero-rossastro, con scarsa polpa e quindi povera d'olio. Il legno è assai duro e molto durabile, ottimo per lavori di ebanisteria o al tornio. Possiede inoltre, grazie alla sua compattezza, un altissimo potere calorifico.

La sua longevità è davvero straordinaria e nell'Isola ci sono olivastri famosi. La classifica vede in testa l'olivastro di San Bortulu di Luras con una circonferenza di 11,8 m e 14 di altezza. Sempre a Luras ci sono altri possenti olivastri. A Palau c'è un olivastro in località Stazzareddu di 10 m di circonferenza e 10 di altezza. E' ricordato, fra gli alberi monumentali sardi anche l'olivastro di Calargianus, di 6 m di circonferenza e 7 di altezza e quello di Villacidro, 5m e 10.

Pure in località Meleu ad Ozieri, c'è uno splendido esemplare che abbiamo recentemente visitato con Pietro Bua e Gavino Pala: la gita, oltre che l'olivastro, aveva per oggetto anche l'adiacente nuraghe.

 

L'olivastro ha una circonferenza di 7,5 m circa e quindi un diametro di 2,5 m ed un'altezza di 10-12 m. Questa stima andrebbe confermata dai forestali, perché le regole di misura potrebbero essere diverse da quelle da noi usate. Comunque è superiore agli olivastri di Calangianus e Villacidro e non è mai preso in considerazione!

 

Ma non è su questa graduatoria che vogliamo attirare l'attenzione, quanto sull'emozione che un tal prodigio provoca: il pensiero va alla testimonianza di storia che potrebbe restituire nella sua più che millenaria muta esistenza. L'albero incute anche un forte senso di venerazione. Il suo ieratico comportamento - così ragionavamo sotto il suo grande ombrello - avrà dissuaso anche il più deciso ed infreddolito contadino dal tagliarlo! Ed il suo portamento è tale che induce qualsiasi persona a salvaguardarlo e rispettarlo!

A cinquanta metri più in là c'è il nuraghe Meleu, descritto solo nell'esaustivo e prezioso lavoro di Don Amadu "Ozieri ed il suo territorio dal neolitico all'età romana". E' stato eretto su di uno sperone di roccia, che apre verso Su Campu uno straordinario scenario, come il superiore nuraghe Barvidu, dal quale lo sguardo ha ancora maggiori orizzonti.Sulla stessa retta Barvidu-Meleu si trova il nuraghe Giolzi Pintu e tre punti su di una retta non è un fatto casuale.

 

Il nuraghe ci sembra un trilobo, con la stessa tipologia di Sa Mandra e sa Jua di S. Nicola, anche se la terza torre non è di facile lettura, giacché i suoi conci sono stati forse utilizzati per realizzare i terrazzamenti verso Sud che Don Amadu descrive.

Facile considerazione: olivastro e nuraghe sarebbero più che sufficienti ad eleggere la località come luogo di grande interesse archeologico-naturalistico.

Ancora un'annotazione a proposito di olivastro. Al Museo etnografico Galluras di Luras è conservato, unico in Sardegna, il martello di olivastro, avvolto in un sacchetto di panna nero, che serviva a sa femina agabadora a por fine alla vita di persone sofferenti e gravemente ammalate. Lo schizzo, vicino alla foto dello strumento, chiarisce la forma. Strana. Ma potrebbe esserci una spiegazione. Prima che l' accabadora entrasse nella stanza dell'ammalato - spiega Giacomo Pala, ideatore del Museo - ogni oggetto sacro veniva tolto e così ogni immagine ed ogni riferimento religioso.

 

La forma del martello tradizionale, col manico e la testa infilata ha forma di croce e perciò l'atto sarebbe stato compiuto con qualcosa che non andava bene… Sarà perciò?
Anche il fatto che fosse solo di legno di olivastro ed un unico pezzo potrebbe essere significativo, ma chi potrà mai spiegarcelo?


L'ailanto de su daziu
Salendo da via Roma, al bivio per Mores e l'Ospedale, sulla sinistra, c'è un grosso albero, chiamato "s'arvure 'e sas camandulas", ovvero l'albero delle bugie e qualcuno anche "s'arvure de sas castanzas", delle castagne, che in questo caso non sta per castagne, ma per bugie. Ancora è ricordato come albero dei dazieri, proprio perché prima della seconda guerra c'era una postazione di controllo sulle merci in entrata ed uscita da Ozieri (su daziu).

Proprio quest'albero - l'ailanto appunto - è segnalato e fotografato nel bel libro di Siro Vannelli "Grandi alberi della Sardegna, monumenti verdi" edito dalla Regione, assessorato Difesa Ambiente, Cagliari, 1994 ed è considerato sia per la sua longevità, sia per le dimensioni, monumento da salvaguardare.

Ecco le caratteristiche di questa specie legnosa. Essa è originaria dalla Cina ed è stata introdotta in Italia nel 1760, dove si è largamente naturalizzata, rivelandosi albero molto intraprendente nella conquista del territorio anche in varie città sarde. Vive in piccoli gruppi o sporadico sulle pendici detritiche, dal piano fino a 1000 m di quota. Assieme all'ailanto era stato introdotto anche un insetto serigeno, l'Attacus cinthia, ma la qualità della seta era scadente e questa opportunità fu abbandonata.

Il suo nome scientifico è Ailanthus glandulosa, famiglia delle Simurubacee e può raggiungere i 20-25 metri di altezza. Ha foglie alterne, senza stipole, lunghe fino a 90-100cm, imparipennate con 6-20 paia di foglioline picciolate, oblungo-lanceolate che emanano un caratteristico odore. Fiori piccoli e poligami, disposti a pannocchie molto ramificate. Il frutto è una cassula bialata (samara), lanceolata, con seme in posizione centrale. Fiorisce da maggio a giugno.

Nella scheda del citato libro, si annota che il nostro ailanto ha una circonferenza a petto d'uomo di 320cm ed una altezza di 11 m, dati che non sono mutati in questi ultimi 10 anni. Si dice inoltre che la sua presenza in questo luogo, considerata e gradita ai numerosi pensionati che socializzano alla sua ombra e raccontano anche tante "castagne", ovvero frottole, sembra frutto di una invadenza accettata e poi curata dagli stessi dazieri. Per la verità non ci sono oggi più pensionati o altri che sostano sul pur ancora presente sedile in muratura sotto l'ailanto, a meno di non volere in breve intossicarsi per l'intensissimo traffico del bivio!

Quel sedile è stato anche teatro di una tragedia durante la seconda guerra mondiale. In questo strategico punto era stato fissato un posto di blocco ed un giovane soldato, ivi comandato, poco dopo aver salutato la giovane fidanzata di Bono che gli aveva fatto un furtivo saluto, nel fare, da seduto, un brusco movimento, gli cadde il moschetto. L'urto fece partire un proiettile che perforò la giberna e quindi il petto del giovane che morì all'istante.

Abbiamo chiesto notizie sull'ailanto al comandante del locale Corpo forestale, Vittorio Cubeddu, che solo al nome ha reagito con una smorfia: "E' una pianta puzzolente, invasiva ed infestante! Non l'amo particolarmente!"

E' vero. Ma proprio la sua virulenza può essere sfruttata nei rimboschimenti di pendici solatie, asciutte e sassose. Il suo legno è facilmente lavorabile, ma di scarso valore e si usa piuttosto per la pasta nell'industria della carta.

La corteccia e le foglie contengono un'oleoresina che ha proprietà purgative. Al nostro ailanto dunque, che come tutti gli alberi monumentali o meno, può raccontare tante storie, andrebbero riservate maggiori cure di quanto non gli siano riservate: un suo squarcio, provocato da un atto vandalico con un tentativo di incendio, è stato recentemente e malamente riempito di calcestruzzo! Attenzioni dovute non solo perché è ormai entrato nella storia di Ozieri, ma anche perché - come si legge ancora nel citato libro - è il più rilevante dell'Isola!